Tanti colleghi medici e psicologi hanno letto con sconcerto l’articolo dello psichiatra Giuseppe Bersani, recentemente pubblicato sulla Rivista di Psichiatria con il titolo “L’altra epidemia” (1).
Bersani, un accademico romano, scrive utilizzando la sua competenza psicopatologica per “portare un contributo alla comprensione di una situazione i cui protagonisti ricadono, nell’accezione del senso comune, nella definizione di “idioti””.
Chi sono questi idioti, cui il professore riserva la sua attenzione?
Sono quell’ampio gruppo di umani – in Italia almeno una decina di milioni- che condividono un “comune denominatore ideativo...: la negazione della realtà della pandemia nei termini in cui essa appare oggi presentata all’opinione pubblica dai mezzi di comunicazione sociale, la negazione della validità e dell’obiettività dei dati della ricerca scientifica su di essa, la negazione della finalità terapeutica reale delle politiche sanitarie nazionali e internazionali”.
Bersani è intenzionato a meglio definire le caratteristiche di questa “subcultura” non ritenendo sufficiente considerare questi milioni di persone (solo) come idioti. Magnanimamente egli reputa infatti necessario esplorare più a fondo “un fenomeno psichico con vastissime ripercussioni sociali che sta assumendo una dimensione assolutamente imprevedibile”.
Egli è convinto che “il tema della psicopatologia dei negatori della realtà della pandemia non rientri ancora tra quelli ritenuti di interesse per medici, opinionisti, autorità sanitarie, opinione pubblica” e auspica che accanto alla voce degli infettivologi, dei virologi e dei gestori della salute pubblica si possa finalmente ascoltare la voce degli psichiatri “detentori in teoria più degli altri delle competenze per riconoscere, descrivere e, per quanto possibile, contribuire ad interrompere il ciclo di auto-potenziamento di un universo di pensiero sempre più lontano dalla realtà”.
Proprio così, sono necessari gli psichiatri perché i circa dieci milioni di idioti in realtà non sono (solo) tali, ma, secondo l’analisi di Bersani, sono soggetti con “personalità paranoicali strutturalmente orientate verso elaborazioni di natura persecutoria”, quando non soggetti francamente deliranti. Ci sono poi i soggetti affetti da “disturbo di personalità schizotipico”, unitamente a coloro i quali negano “i propri limiti personali, la propria vulnerabilità e anche, a livello inconscio, la propria stessa mortalità”.
Cosa fa sì che tutti questi malati mentali possano ancora scorrazzare liberi senza ricevere l’attenzione, notoriamente raffinata, degli psichiatri? Cosa fa sì che essi sfuggano a un trattamento di massa, non solo vaccinale, ma psichiatrico?
Secondo Bersani, sono due i motori della mostruosa avanzata di questo popolo di deliranti. Il primo, “la rete”, che con la sua sconfinata potenzialità di diffusione di informazioni e di comunicazione trasversale…consente a chiunque di affermare interpretazioni e teorie non soggette al vaglio critico della competenza e dell’obiettività”.
Il secondo è l’appartenenza alla medesima “subcultura” di tutti questi matti a piede libero. Nel calderone della massa incolta, le ideazioni deliranti diventano vere in quanto “condivise”, e i soggetti malati possono sfuggire a un formale inquadramento diagnostico protetti dalle credenze irrazionali della moltitudine.
L’architrave di tutta l’argomentazione di Bersani è la seguente: "l'elemento centrale del fenomeno è costituito dalla negazione della realtà e dalla sostituzione della visione obiettiva di questa con convinzioni svincolate dalla sua verifica".
Ora, cosa si può pensare di uno psichiatra come Bersani che crede di possedere la visione obiettiva della realtà e che si permette di emettere giudizi diagnostici per milioni di persone?
Si può immaginare che per Bersani – e per i tanti che abbracciano una posizione simile – possa essere rassicurante sentirsi dalla parte giusta. Credere che gli illustri medici da talk show e i politici si siano mossi “solo per il nostro bene”. Credere di aver capito, nell'infinita complessità della situazione, che c'è una chiara linea di demarcazione tra i sani e i malati di mente, tra i no-vax e gli obbedienti seguaci della Scienza.
Uno psichiatra dovrebbe avere coscienza che egli stesso, in primis, è una persona con problemi, zone d'ombra, se non veri e propri aspetti "patologici".
Questo contatto con la propria “equazione personale” aiuta a mantenere viva la consapevolezza che nessuno può avere una visione obiettiva della realtà e che tutti pensiamo, agiamo e ci relazioniamo costantemente condizionati da un'infinità di variabili.
La possibilità di salvezza dal delirio e dalla deriva narcisistica consiste proprio nel confrontare le proprie zone d'ombra con altri, in un incessante cammino di verifica e aiuto reciproco. Ed è proprio quello che non è accaduto negli ultimi due anni. Gli spazi di confronto si sono ridotti, se non azzerati, e inevitabilmente le contrapposizioni si sono inasprite. Forse Bersani, così desideroso di apporre un’etichetta diagnostica a milioni d’italiani, potrebbe dilettarsi allo stesso modo con le personalità dei virologi e dei politici. Come potremmo inquadrarli? “Disturbo narcisistico” o, per i più gravi, “disturbo psicopatico di personalità”?
Da collega, il mio augurio è che Bersani, invece di pontificare utilizzando abusivamente i manuali diagnostici, possa porsi qualche dubbio e interrogativo rispetto alle infinite contraddizioni della gestione pandemica e alla sempre più vasta letteratura sull’argomento che mostra il crescente e drammatico verificarsi di eventi avversi e i preoccupanti dati sulla somministrazione vaccinale a bambini e donne gravide.
Forse potrebbero aprirsi spiragli di dialogo e confronto. Ne abbiamo tutti un gran bisogno, psichiatri e non.
Luca Panseri, Psichiatra e Psicoterapeuta.
Canton Ticino.