Ho scelto e svolgo la professione di medico da oltre vent’anni e durante gli anni di formazione, ma anche successivamente mi sono posta spesso queste domande.
Cosa si aspettano le persone da un buon medico?
All’età di 39 anni mio padre ha avuto un cancro allo stomaco. Io allora avevo 12 anni e lì finì la mia infanzia, intesa come epoca della vita in cui ci si sente al sicuro e, nell’incanto, si esiste senza sapere di vivere.
I medici dell’ospedale “sotto casa” descrissero mio padre come “un morto che cammina”: parlavano fra loro con la porta socchiusa, senza rendersi conto o forse dimenticandosi che lui e mia madre erano fuori dallo studio in attesa di essere da loro ricevuti a colloquio. Due mesi dopo mio padre veniva operato dai medici dell’ospedale “all’avanguardia” lontano da casa e oggi compie 72 anni. Oggi mi vien da dire che ciò non basta a fare dei primi degli scalzacani e dei secondi degli eroi. Dato che né i primi né i secondi hanno avuto idea, non essendosene mai interessati, di cosa abbia significato per mio padre e per noi, la sua famiglia, quella malattia, quell’intervento chirurgico, quelle difficoltà fisiche, psicologiche, lavorative, relazionali, esistenziali che l’hanno accompagnata e ne sono conseguite. Un medico dovrebbe farsi carico di tutto ciò? Certamente no, si direbbe tutti in coro oggi, convintamente. E un essere umano? Chiedo al coro: un essere umano dovrebbe farsi carico delle difficoltà di un altro essere umano che ha lì, di fronte a sé, accanto a sé, il cosiddetto “prossimo”? Torniamo ad allora: allora, nel guazzabuglio dei miei 12 anni, quei medici, quelli dell’ospedale all’avanguardia, mi sembrarono degli eroi. Mio padre era vivo, grazie a loro. Grazie al loro intervento: tecnico, capace, risoluto, coraggioso. Alle cure puntuali e alle attenzioni quotidiane del personale. Alla pulizia, all’organizzazione e alla dotazione strumentale della struttura ospedaliera. Non è dunque così che vogliamo il nostro medico, la persona cui affidare la nostra salute? Tecnicamente competente, capace di ascoltare, analizzare e comprendere la nostra situazione, risoluto nel prenderla in mano e condurla, coraggioso nel prendere decisioni talvolta difficili, capace di “difendere” la nostra salute e la nostra dignità, di averne cura, di prestargli attenzione e ascolto in maniera puntuale, razionale, dedita.
Un tempo il medico era figura autorevole, dal quale ci si attendeva una condotta eticamente ineccepibile, che condivideva col sacerdote il dovere del segreto e l’accesso al mistero. In anni più recenti il medico è stato percepito sempre più come un tecnico, dal quale attendersi prestazioni tecnicamente corrette il più possibile scevre di qualsivoglia dimensione personale, valoriale, etica o morale o vissuto individuale. Una sorta di bancomat della salute, o presunta tale, al quale viene chiesto di applicare correttamente linee guida stilate da società scientifiche internazionali, con spazi sempre più esigui di interpretazione e adattamento al singolo specifico caso.
Sono diventata medico. Ho frequentato gli ospedali da studente, da volontario del soccorso della Croce Rossa, da specializzando, da medico di Guardia Medica, da sostituto di Medico di Medicina generale, da Cardiologo. Ospedali pubblici e privati, RSA, terapie intensive, corsie di degenza, riabilitazioni, ambulatori. Medicina interna, pediatria, malattie infettive, farmacologia, psicologia clinica, terapia intensiva di rianimazione, pronto soccorso, cardiologia, unità coronarica...visite a domicilio, consulenze nei reparti di degenza, soccorso in ambulanza, in mezzo alla strada, in stazione di notte, di giorno, sotto la pioggia, a Natale, a ferragosto.
E ho visto quel camice bianco nascondere o mistificare ogni genere di umana debolezza e persino ogni genere di franca nefandezza. Ho visto medici incapaci di prendere decisioni, medici pavidi che rimandavano al collega successivo, che mentivano per togliersi di impaccio, che non aspettavano altro che la fine del turno. Medici demotivati, depressi, sciatti, inerti.
Medici altezzosi e razzisti, sadici, malevoli, cinici e sprezzanti. Medici superficiali, faciloni, paternalisti, pronti ad incolpare il paziente delle proprie mancanze, indifferenti alla sofferenza altrui ma abili a sfruttarla: capaci di convincere un sano di essere malato per ottenerne un buon vitalizio in visite periodiche, capaci di approfittare del proprio ruolo per ottenere favori sessuali.
Medici sempre pronti a sconfessare i colleghi, deriderne l’operato, a “farsi le scarpe”, rigorosamente dietro le spalle. Mai un confronto a viso aperto, per carità.
Medici leccapiedi, prontamente a gambe larghe davanti al potente di turno per ottenerne i favori. Medici saccenti, boriosi, ignoranti. Medici brutali, violenti nelle parole e negli atteggiamenti. Medici ipocriti. Medici sopraffatti, esausti, insofferenti alla professione. Medici corrotti e corruttori.
Ho visto medici entusiasti, istrionici, smaniosi di misurarsi, di sperimentare, di studiare e pubblicare, di affermarsi e brillare nel firmamento “di coloro che per la prima volta...”.
Ho visto medici competenti ed empatici, generosi e fieri, lavorare senza risparmiarsi superando continue montagne di difficoltà logistiche, burocratiche, organizzative, preconcetti, difficoltà comunicative, barriere linguistiche, contenzioso legale, diffamazione mediatica.
Ho visto medici fare miracoli, tenere in piedi reparti e ospedali interi, prendendo le decisioni evitate dai sei colleghi precedenti e malevolmente criticate dai sei colleghi successivi. Ho visto medici salvare la vita al malato che avevano in carico anche solo per lo spazio di una notte: quella notte, quella notte in cui quell’intervento di quel medico ha fatto davvero la differenza fra la vita e la morte per quel malato. Ho visto medici seguire pazienti per l’intero arco della loro vita, stando loro accanto come ad amici con l’affetto sincero di chi ha condiviso lunghi tratti di strada.
Ho conosciuto pochissimi medici capaci di curare.
Ho visto una moltitudine di medici mediocremente preparati, diligenti, compiti, timbrare in orario, applicare correttamente linee guida e protocolli, esprimersi in maniera educata con parenti, gentile coi pazienti, lavarsi le mani e stimbrare sciacquandosi via ogni pensiero, insieme all’acqua e al sapone, fino alla timbratura di pensionamento.
Ho visto l’intera commedia umana abitare quel camice bianco ma se, generalizzando come mai si dovrebbe, dovessi sintetizzare in un aggettivo ciò che più ha caratterizzato e caratterizza la classe medica che ho conosciuto, non potrei che amaramente concordare con una cara amica e paziente e scegliere “ignava”: inconsapevole di sé stessa, l’attuale classe medica ha abdicato completamente al proprio archetipo, al ruolo sacerdotale, ovvero di custode e difensore della sacralità della vita, di testimone e difensore della umana fragilità, dei suoi misteri e del suo valore; ha abdicato al proprio ruolo politico all’interno della società, svendendo la propria autorità e subordinandola al potere economico.
Negli anni della pandemia COVID-19, ho visto la classe medica italiana nel suo complesso e nelle sue rappresentanze istituzionali perdere umanità e credibilità, dissolversi. Svanire in un numero telefonico al quale nessuno ha risposto. Nel portone di uno studio medico rimasto chiuso, disabitato, disertato. Nei corridoi ospedalieri rimasti deserti. Nei provvedimenti disciplinari contro i medici che hanno visitato centinaia di malati abbandonati a se stessi tentando e trovando una cura. Nell’esercito di turpi burocrati in camice bianco pronti ad applicare ciecamente qualunque protocollo ben retribuito. Il corpo medico è stato sezionato dalla lama affilata di un bisturi invisibile e feroce. Ciò che era sano ha sanguinato copiosamente, soffrendo atrocemente la mancanza di un’anestesia, lo smarrimento dell’integrità, la perdita di significato. La parte anestetizzata tuttavia è rimasta intorpidita, immobile, esangue: martoriata senza che se ne accorgesse, è imputridita, marcita, si è decomposta e dissolta. E’ ormai polvere, che ancora ricopre lo spazio, offusca la vista e taglia il respiro, ma basterà presto un refolo di vento a portarla via.
Medico chi sei oggi? Oggi sei il personaggio smarrito di una commedia non più umana. Ma ciò che sanguina è vivo, ciò che ancora sta sanguinando è la premessa viva e vitale a ciò che sarà: medici capaci di curare, esseri umani capaci di avere cura gli uni degli altri, di esperire il dolore e trasformarlo in cura, in amore.