Questo problema non riguarda solo o prioritariamente medici e psicologi, ma tutta la popolazione, dal momento che potenzialmente ognuno dovrà avvalersi delle loro prestazioni e perché come si fa una cosa cambia la cosa che si fa.
La psicologia occidentale intesa come disciplina scientifica che si propone di studiare e comprendere il comportamento degli umani e degli altri animali ha, a differenza della medicina occidentale, una storia molto più recente. Il primo laboratorio sperimentale ufficiale fu creato da Wilhelm Wundt nel 1879. L’intenzione di sottrarre lo studio del comportamento alla religione e alla filosofia per portarlo entro i parametri di un metodo scientifico, cioè controllato e controllabile, fu da subito molto articolato, infatti esistono anche oggi diverse teorie (come è normale nella buona scienza) del funzionamento della mente, da cui derivano diversi metodi per interpretare e ottenere il cambiamento del comportamento, incluso quello che genera sofferenza psichica sia nell’individuo sia nelle persone a lui vicine.
Perché una persona è depressa? Perché soffre di attacchi di panico? Perché un bambino a scuola non sta mai fermo nel banco? Perché pur amando il partner un soggetto è spinto a tradirlo? Perché di punto in bianco uno studente modello pianta l’università e si mette ad allevare capre? La psichiatria e la psicologia organicista lo spiegano supponendo che sia frutto di alterazioni neurochimiche del cervello o di geni ancestrali residuali poco utili all’adattamento nel contesto attuale.
Le diverse teorie psicologiche della mente possono formulare spiegazioni diverse: perché il soggetto ha appreso da cattivi modelli comportamentali, perché non riesce a controllare razionalmente gli impulsi o perché ha subito un qualche trauma, magari sepolto nell’inconscio, che gli impedisce di gestire e superare un blocco doloroso.
Personalmente ho scelto la teoria di mente sistemico-connessionista che considera ogni comportamento prioritariamente una comunicazione. La prima domanda a cui cerca di rispondere è: “Perché adesso?” “Che significato acquista quel comportamento in quel momento e in quel contesto, per chi lo mette in atto e per le persone che ne sono i destinatari?”.
Un altro principio fondante della psicologia sistemica che si occupa dello studio della comunicazione si riferisce all’importanza dei paradossi, ovvero quando qualcuno fa un’affermazione verbale che è contraddetta dai comportamenti. Classici, estremi ma istruttivi: “Ti amo così tanto, perciò è meglio se ci lasciamo” o “Ho ucciso la/il partner per troppo amore”. I paradossi comunicativi sono indicatori importanti di un processo molto pericoloso, infatti è considerato alla base della genesi delle psicopatologie più gravi come la psicosi, perché il messaggio che giunge al destinatario è indecidibile. Le parole si vestono di ambiguità rendendo il loro significato fumoso.
Anche un computer va in tilt se gli ponete un quesito paradossale, solo che il computer non impazzisce, si spegne e basta. Per gli umani non è così, perché hanno bisogno di capire e non possono “spegnere” la relazione con le persone per loro importanti prima di esserci riuscite.
In quelle situazioni la domanda ineludibile è “Cosa mi vuoi dire davvero adesso?” Se la mia vita fisica e affettiva dipende da chi comunica con me attraverso paradossi la mia mente è in pericolo perché non so più chi è colui che mi parla. Non so più se mi posso fidare di ciò che mi verrà detto. L’uso dell’indecidibilità e/o ambiguità dei messaggi è uno degli strumenti principe tanto della pubblicità quanto della propaganda ideologica. Benché meno cruenti nei metodi hanno lo stesso scopo: orientare la percezione della realtà e ottenere un comportamento desiderato senza apparentemente imporlo. Naturalmente lo scopo dichiarato di colui che usa questi modi di comunicare è il bene del destinatario, ritenuto non in grado di sapere egli stesso cosa sia meglio per lui.
Ecco svelato il motivo della domanda: ”Perché adesso cambiare il codice deontologico di psicologi e medici?”
Questo problema non riguarda solo o prioritariamente medici e psicologi, ma tutta la popolazione, dal momento che potenzialmente ognuno dovrà avvalersi delle loro prestazioni.
Dunque propongo al lettore di seguirmi nel modo con cui ho analizzato questo evento. Ho utilizzato esattamente lo stesso metodo con cui analizzo ogni sistema umano: la situazione di un paziente, di una famiglia, di un gruppo o di una istituzione che, in difficoltà, mi chiede una supervisione organizzativa del personale.
Mi concentrerò su fatti e testo del codice in questione che riguardano gli psicologi, ma i colleghi medici potranno facilmente cogliere i parallelismi dei processi in atto.
Primo step: confrontare la congruenza tra affermazioni e comportamenti.
Curiosamente si è cominciato a parlare di modificare il codice deontologico nel giugno del 2022, quando la gestione della salute pubblica, anche psicologica, era oggetto di importanti e precise critiche. Anche l’ordine degli psicologi era stato aspramente criticato da molti suoi iscritti, restati inascoltati e anzi puniti per aver chiesto un confronto scientifico reale e serio. Giugno 2022: non ancora usciti dall’emergenza pandemica da covid-19, ma già in odore di prossime elezioni politiche autunnali e con il timore che l’operato del Governo in carica e del Ministro della salute Speranza (e collaborazionisti vari) si trovassero a dover affrontare un clima che chiedesse loro conto delle scelte fatte.
Il presidente del CNOP (consiglio nazionale degli ordini degli psicologi) David Lazzari ha avuto un’idea geniale: resuscitare il rito della santificazione applicandolo al nostro codice, per giustificare il fatto di volerlo rottamare. Il solito vecchio “Promoveatur ut amoveatur”. Così in occasione del convegno Deontologia e valori per la Comunità professionale psicologica (giugno 2022), dopo aver letto un saluto del ministro Speranza, invitato ma indisposto, osa citare gli articoli 3, 31 e 32 della Costituzione Italiana, come fondamento della tutela di cui i Cittadini hanno diritto e a cui il primo codice deontologico ovviamente si ispirava 25 anni prima. Dal momento che per quasi tre anni ci si era abituati a violare proprio quegli articoli era giunta l’ora di aggiornarlo.
(https://www.youtube.com/watch?v=_5gRej-_WqA&t=195s )
Secondo step: a cosa serve l’eccesso di parole e la loro ambiguità?
Ho promesso al lettore di seguire rigorosamente il metodo di raccolta dati/informazioni che il mio modo di operare esige. Perciò mi sono documentata ascoltando e cercando quanto più possibile. Il collega Marco Pingitore presentissimo su YouTube, organizza sessioni in cui con la parlantina degna di un promoter di investimenti bancari ci informa che ad aprile 2023 è stato approvato “all’unanimità” (ci tiene a sottolinearlo) il nuovo testo. Il link che segue mette a confronto i due testi, ma ancora una volta la mia deformazione professionale mi obbliga a porre attenzione al modo in cui si dà peso o meno agli aspetti oggetto delle modifiche. Mentre ci si dilunga su aspetti marginali, terminologici, facilmente condivisibili, gli aspetti di sostanza sono spesso derubricati, con spiegazioni veloci o superficiali. Difficile seguire il destino di parti spostate da un articolo all’altro. Viene tuttavia sottolineato come ad ogni articolo al numero è stato affiancato un titolo: perché? Così non serve leggerne con attenzione il contenuto? (https://www.youtube.com/watch?v=NwzbFxTgrAE )
Terzo step: l’informazione è differenza e come si fa una cosa cambia la cosa che si fa.
Dal momento che tra il 22 e il 25 settembre saremo chiamati a votare in blocco le modifiche del testo, non i singoli articoli, con un referendum on line di cui ho scoperto che pochissimi tra psicologi, ma anche medici per il loro, sono informati mi permetto di mettere a confronto solo tre degli articoli modificati. Li ho scelti perché da soli aiutano a rispondere alla domanda: perché cambiarlo così e perché ora?
Art.4 “Nell’esercizio della professione, lo psicologo rispetta la dignità, il diritto alla riservatezza, all’autodeterminazione ed all’autonomia di coloro che si avvalgono delle sue prestazioni; ne rispetta opinioni e credenze, astenendosi dall’imporre il suo sistema di valori; non opera discriminazioni in base a religione, etnia, nazionalità`, estrazione sociale, stato socio-economico, sesso di appartenenza, orientamento sessuale, disabilita`”.
Art. 4 modificato: Principio del rispetto e della laicità`. La psicologa e lo psicologo, nella fase iniziale del rapporto professionale, forniscono all'individuo, al gruppo, all'istituzione o alla comunità, siano essi utenti o committenti, informazioni adeguate e comprensibili circa le proprie prestazioni, le finalità e le modalità delle stesse, nonché circa il grado e i limiti giuridici della riservatezza. Riconoscono le differenze individuali, di genere e culturali, promuovono inclusivita`, rispettano opinioni e credenze e si astengono dall’imporre il proprio sistema di valori.
Art. 9 “Nella sua attivita` di ricerca lo psicologo e` tenuto ad informare adeguatamente i soggetti in essa coinvolti al fine di ottenerne il previo consenso informato, anche relativamente al nome, allo status scientifico e professionale del ricercatore ed alla sua eventuale istituzione di appartenenza. Egli deve altresi` garantire a tali soggetti la piena liberta` di concedere, di rifiutare ovvero di ritirare il consenso stesso.
Nell’ipotesi in cui la natura della ricerca non consenta di informare preventivamente e correttamente i soggetti su taluni aspetti della ricerca stessa, lo psicologo ha l’obbligo di fornire comunque, alla fine della prova ovvero della raccolta dei dati, le informazioni dovute e di ottenere l’autorizzazione all’uso dei dati raccolti. Per quanto concerne i soggetti che, per eta` o per altri motivi, non sono in grado di esprimere validamente il loro consenso, questo deve essere dato da chi ne ha la potesta` genitoriale o la tutela, e, altresi`, dai soggetti stessi, ove siano in grado di comprendere la natura della collaborazione richiesta. Deve essere tutelato, in ogni caso, il diritto dei soggetti alla riservatezza, alla non riconoscibilita` ed all’anonimato”.
Art.9 modificato: Consenso informato nella ricerca. Nella loro attivita` di ricerca la psicologa e lo psicologo sono tenuti ad informare adeguatamente le persone in essa coinvolte rispetto agli scopi, alle procedure, ai metodi, ai tempi e ai rischi della stessa, nonche´ alla modalita` di trattamento dei dati personali raccolti al fine di acquisirne il consenso, a fornire adeguate informazioni anche relativamente al nome, allo status scientifico e professionale della ricercatrice e del ricercatore ed alla loro istituzione di appartenenza. Devono altresi` garantire alle persone partecipanti alla ricerca la piena liberta` di concedere, di rifiutare ovvero di ritirare il consenso stesso.
Nell’ipotesi in cui la natura della ricerca non consenta di informare preventivamente, correttamente e completamente le persone partecipanti su alcuni aspetti della ricerca stessa, la psicologa e lo psicologo hanno l’obbligo di fornire alla fine dell’attività sperimentale e/o di ricerca, le informazioni dovute e di acquisire l’autorizzazione all’uso del materiale e dati raccolti.
Per quanto concerne le persone che, per eta` o per altri motivi, non sono in grado di esprimere validamente il loro consenso, questo deve essere dato da coloro che esercitano la responsabilità genitoriale o la tutela.
E` altresi` richiesto l’assenso delle persone stesse, ove siano in grado di comprendere la natura dei contenuti delle attivita` in cui saranno coinvolte e della collaborazione richiesta, in relazione alla loro eta` e al loro grado di maturita` nel pieno rispetto della loro dignità. Deve essere tutelato, in ogni caso, il diritto delle persone alla riservatezza, alla non riconoscibilita` ed all’anonimato.
Art. 24 “Lo psicologo, nella fase iniziale del rapporto professionale, fornisce all’individuo, al gruppo, all’istituzione o alla comunità`, siano essi utenti o committenti, informazioni adeguate e comprensibili circa le sue prestazioni, le finalità` e le modalità` delle stesse, nonché´ circa il grado e i limiti giuridici della riservatezza. Pertanto, opera in modo che chi ne ha diritto possa esprimere un consenso informato. Se la prestazione ha carattere di continuità nel tempo dovrà esserne indicata, ove possibile, la prevedibile durata”.
Art. 24 modificato: Consenso informato sanitario nei confronti di persone adulte capaci. Nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge. L’acquisizione del consenso informato e` un atto di specifica ed esclusiva responsabilità` della psicologa e dello psicologo. Il consenso informato, acquisito nei modi e con gli strumenti piu` consoni al contesto e alle condizioni della persona, e` documentato in forma scritta o attraverso videoregistrazione o, per la persona con disabilita`, attraverso dispositivi che le consentano di comunicare. La psicologa e lo psicologo informano la persona interessata in modo comprensibile, completo, e aggiornato sulla finalità` e sulla modalità` del trattamento sanitario, sull’eventuale diagnosi e prognosi, sui benefici e sugli eventuali rischi, nonché´ riguardo alle possibili alternative e alle conseguenze dell’eventuale rifiuto del trattamento sanitario.
COMMENTO: non voglio allungare oltre questo testo, perciò mi limito ad una sintesi degli aspetti più rilevanti, apponendo ancora uno dei link che consentono a chi lo desideri di verificare le importanti criticità rilevate. (https://www.youtube.com/watch?v=B-8h_ed9v_s )
Ho evidenziato nei testi la sostituzione o l’omissione di termini che da soli documentano lo slittamento semantico a cui si giunge e che si ricollega con un tema generale che ha ripetutamente preoccupato gli estensori del nuovo testo: più che un codice di comportamento del professionista a tutela del paziente/utente, un codice di tutela del professionista stesso che teme di incorrere in sanzioni. Questo il motivo delle continue sottolineature e richiami ai numerosi articoli che si ricollegano tutti al tema del consenso informato. Di volta in volta chiesto, preteso, omesso se “la raccolta preventiva (in caso di ricerca) potrebbe interferire con gli esiti” o addirittura ottenuto con una minaccia in caso di rifiuto. Considerando l’insieme ne emerge una consistente limitazione dell’autodeterminazione tanto del Cittadino utente, quanto del professionista continuamente indirizzato da linee guida, che sembrano proteggerlo, in realtà che ne limitano l’autonomia intellettuale e professionale.
Davvero è questo atteggiamento che caratterizza una professione il cui focus è la gestione della relazione umana e la co-costruzione dell’alleanza terapeutica?
Inoltre sul tema del consenso, più commentatori ed estensori del nuovo testo hanno messo in evidenza come si ritiene che il consenso informato valga solo per le prestazioni definibili sanitarie e dunque in alcuni contesti, segnatamente la scuola, non sia necessario (Marco Pingitore) o comunque da bypassare per sgravare gli psicologi da complicazioni burocratiche! Ma lo psicologo resta psicologo sempre e non può usare le sue competenze in maniera surrettizia, specie se rivolto a minorenni in un contesto in cui i genitori devono poter sapere ed essere informati di ciò che avviene e sui contenuti anche di “semplici conferenze”.
Ho trovato davvero deprimente che sia stata l’avvocatessa Elena Leardini, consulente legale dell’ordine della Lombardia e dell’osservatorio per la deontologia, a precisare che, ancor più che in ambito medico, in una professione come la psicologia sia il fattore umano determinante e la specificità del singolo caso a rendere non normabile in dettaglio tutti i comportamenti, in cui il professionista deve comunque essere competente, rendendo inalienabile l’assunzione di responsabilità personale. Invece sembra che gli psicologi membri della commissione siano stati guidati più dal desiderio di delineare linee guida difensive a cui volentieri aderire.
Perché adesso? Sempre come ci viene ricordato dall’intraprendente Pingitore c’era fretta, perché il mandato dell’attuale CNOP è in scadenza. Ma guarda caso in maniera silenziosa, quasi ignota ai più e in piena estate, il consiglio ha deliberato lo slittamento di un anno delle nuove elezioni.
Perché adesso? Ce lo ricordiamo cosa ha fatto l’ordine degli psicologi con i suoi iscritti che non hanno ceduto all’estorsione di un consenso disinformato? Ma soprattutto cosa ha inflitto ai pazienti: scaricati e abbandonati, colpevolizzati, patologizzati e spinti a fare ciò che non erano convinti di fare. Ha accettato di avvallare la scelta di trasformare una sperimentazione priva di controllo scientifico in un TSO (trattamento sanitario obbligatorio)?
Perché adesso? Se allora come ora si è trattato e si tratta solo di prove generali di obbedienza a cariche che si assumono un potere che con la scienza e la tutela della salute dei pazienti/utenti/Cittadini nulla hanno da spartire, si spera che cambiando le regole a posteriori ci si dimentichi che sono già state violate?
Foto: Fascicolo del codice deontologico in rottamazione.