Appello all’intelligenza
Gentili Colleghe e Colleghi,
non solo come "scienziati del comportamento", ma anche come intellettuali dovremmo essere più attrezzati e insieme coinvolti di altre figure professionali nel cercare di comprendere gli eventi per trovare soluzioni.
Ho cercato sul dizionario Oxford Languages ( abitudine ereditata dalla grande Maestra Mara Palazzoli Selvini) che definizione viene data di intelligenza, essendo evidente che fare affidamento su un numero che esprima un elevato QI, non è di aiuto.
Definizione: capacità di attribuire un conveniente significato pratico e concettuale ai vari momenti dell'esperienza e della contingenza.
Mi sono chiesta in questa situazione che non esito a definire drammatica
Che cosa ci stanno a fare gli psicologi?
Condivido le mie riflessioni espresse nell'articolo che allego, pubblicato sulla newsletter N. 37, gennaio 2022, di Jessica Ciofi.
Senza un'intelligenza di sciame non ne potremo uscire, non dalla pandemia, ma dagli effetti della sua gestione.
Un cordiale saluto
Dr. Miriam Gandolfi
Ringrazio la Collega Jessica Ciofi che mi ha chiesto di trasformare in un articolo la lettera di disappunto che Le ho inviato. Di questi tempi avere uno spazio dove poter esporre le proprie opinioni è un vero lusso.
Appena ricevuto l’invito mi è tornato alla mente il titolo di una vecchia recensione fatta al piccolo ma prezioso libro di Aldo Rovatti La follia in poche parole (Bompiani, 2000). In quell’occasione mi aveva colpito la profondità di analisi del pensiero batesoniano e dell’approccio al senso della follia.
Accanto al piacere della lettura spuntava una sorta di “invidia buona” e mi chiedevo appunto cosa ci stessero a fare psicologi e psicoterapeuti se si lasciavano sfuggire occasioni di riflessioni così profonde, espresse magistralmente da un filosofo.
Dopo oltre vent’anni non solo il titolo torna buono ma anche la constatazione che, degli ambiti della scienza del comportamento, possono parlare tutti, molto i filosofi, tranne coloro che ne avrebbero la responsabilità professionale.
Infatti la domanda torna: oltre a fare gli indefessi certificatori, i consiglieri in faccende di cuore sui rotocalchi e sedere come complementi d’arredo in gettonati programmi del sabato sera cosa ci stanno a fare gli psicologi? A questo punto mi è venuto in mente un altro libro, documentato e quanto mai pertinente, di Robert Whitaker, Indagine su un’epidemia. Lo straordinario aumento delle disabilità psichiatriche nell’epoca del boom degli psicofarmaci, (Fioriti (2010), 2013). Giuseppe Tibaldi, nella sua prefazione, lamenta la “posizione ancillare” di psicologi e psicoterapeuti nei riguardi della psichiatria. E, visto che a scriverlo è uno psichiatra, non si può prenderla come una rivendicazione sindacale!
Nessun giudizio di valore per le citate scelte professionali dei colleghi. Ma un posticino per la scienza ce lo volgiamo ritagliare?
Fare scienza, anche scienza del comportamento, significa aderire al metodo scientifico che prevede almeno quattro criteri fondamentali:
- Avere una teoria esplicita entro cui inserire l’ipotesi di intervento da verificare
- Attenzione alla scelta dei dati su cui costruire il campione di studio utile alla verifica dell’ipotesi
- Precisione del linguaggio con cui si descrive il fenomeno che si intende studiare
- Verifica dei risultati in rapporto all’ipotesi iniziale circa il fenomeno da spiegare e/o trattare, verifica che pretende la frequentazione del dubbio e considera la possibilità di errore.
Per questo motivo, dopo essermi ammalata di Covid con tutti i sintomi, inclusa vasculite, nel marzo 2020, ho deciso di usare me stessa come cavia da laboratorio, nel rispetto dei criteri indicati.
Premetto che ero già informata della tecnologia alla base dei sieri sperimentali che impropriamente vengono chiamati vaccini, primo segnale della violazione di uno dei criteri scientifici. Me ne sono occupata perché la questione riguarda da vicino gli scienziati del comportamento. Infatti queste sperimentazioni si inseriscono nell’approccio neo organicista e neo evoluzionista, tornato in auge e sempre più diffuso anche per il trattamento dei disturbi del comportamento. Dalla schizofrenia, approccio mai abbandonato dalla psichiatria classica, all’ADHD o alla “malattia della solitudine” teorizzata da John Cacioppo. Per non parlare dei suggerimenti di Edoardo Boncinelli in casi di “resistenza ai metodi educativi” (Incentivi e condizionamenti. Uno studio sul comportamento cooperativo nei topi, Le Scienze, 596/2018).
La speranza di questo filone di ricerca è quella di curare tutte le alterazioni biologiche anche quelle ipotizzate alla base delle psicopatologie e disturbi del comportamento.
Personalmente non ho dubbi che i virus vadano studiati e affrontanti con buone competenze di biologia, fisiologia e immunologia. Perciò una volta guarita, ho atteso un anno e ho compiuto un esame sierologico per verificare lo stato della mia risposta immunitaria: risultavo ancora immunizzata. Abbracciata la teoria scientifica che l’unico modo per studiare un’infezione da virus sia studiare il sistema immunitario ho deciso di fare la prima dose di siero sperimentale (4 maggio 2021). Per rispettare i criteri scientifici che intendevo seguire, prima di ripetere la seconda inoculazione ho eseguito a distanza di un mese la verifica della risposta immunitaria. All’epoca in Italia era impossibile accedere ad esami di laboratorio, così ho inviato nuovamente il mio prelievo in Germania. I risultati tardavano ad arrivare. Al mio sollecito ricevo le scuse e la motivazione: Il numero di anticorpi risultava talmente elevato, che ritenevano di aver fatto un errore, perciò avevano ripetuto gli esami. Il risultato era corretto e invariato e mi informavano che sarei stata una donatrice di plasma (in Germania).
Nulla di strano, in immunologia il fenomeno della “tempesta immunitaria” è noto. Così come è ormai noto che la variabilità della risposta ai trattamenti farmacologici è intrinsecamente condizionata da reazioni multifattoriali e individuali interconnesse.
Da quel momento in poi ho eseguito verifiche sierologiche ogni due mesi e ho respinto l’invito ad ulteriori inoculazioni, certificando all’ASL il persistere del mio stato di iperimmunizzazione.
Risultato? Nulla, mai nessuna risposta nel merito solo reiterati inviti a vaccinarsi, mai ricevuto green pass pur avendone diritto ai sensi del D.M., mai prese in considerazione le mie PEC inviate ad ASL, a Dirigente Sanitario, ad Assessore alla Sanità. E ora constato essere lo stesso metodo adottato dal nostro Ordine Professionale, casa madre e figliolette incluse!
Ora la domanda torna spontanea e pressante: ma che ci sta a fare un Ordine di Professionisti con compiti importanti di tutela della salute pubblica, se tollera la violazione dei principi scientifici con cui l’intera pandemia è stata gestita? La violazione delle più elementari regole di una corretta comunicazione? Il silenzio sulla devastazione psicologica dei rapporti famigliari, interpersonali e sociali, causate da un approccio terroristico?
Nessuna voce istituzionale che si sia levata a segnalare la violazione di quei criteri di metodo che ho indicato:
- La sostituzione delle conoscenze dell’immunologia scientifica con una somministrazione a pioggia, puramente quantitativa e alla cieca di inoculazioni di farmaco, chiamate impropriamente vaccinazioni
- La manomissione delle parole e uso improprio, confusivo e interscambiabile dei termini che hanno invece significati diversi e specifici: “vaccinati” come sinonimo di immunizzati, contagiati come sinonimo di ammalati, i guariti considerati come untori. I critici, con argomentazioni scientifiche circa la gestione della pandemia, definiti terrapiattisti e no-wax ideologici.
- E la gestione dei dati? Abbiamo assistito all’invenzione dei “numeri circa”, alle percentuali senza l’intero di riferimento. E l’elusione degli unici dati utili a comprendere l’andamento di un contagio e la risposta della popolazione: ancora non sappiamo quanti ammalti e quanti guariti, cioè immunizzati naturalmente o con immunizzazione ibrida da una dose.
- E che dire della progressiva disfatta delle procedure di verifica dei risultati: ci si incaponisce a non prendere atto che la sperimentazione, anche legittima all’inizio della pandemia, non era la via giusta.
Un perfetto pasticcio Babbage-cooking (E. Bucci, Cattivi scienziati. La frode nella ricerca scientifica, add, 2015)
Ma forse visto che la sperimentazione non è stata gestite con criteri scientifici non era ciò che realmente si voleva. Non c’è bisogno di evocare chissà che complotto. Basta pensare a quante dosi si sarebbero risparmiate usandole in modo mirato per calcolare quanto denaro sarebbe statorisparmiato. Del resto questa pandemia ha mostrato fin dall’inizio quanto il “vile” denaro ancora, come sempre, non puzzi!
Da psicologi sappiamo che ammettere di sbagliare è insostenibile per personalità altamente narcisistiche, che non tollerano dissonanze con la propria immagine di onnipotenza. Non sono mancati nemmeno gli esperti ondivaghi ossessivi e ipocondriaci.
E che dire della progressiva e salottiera disinvoltura con cui si è pensato al ricorso al TSO, per gli “ansiosi” e “psicopatici” “sorci” renitenti? La facilità con cui si è abolita ogni possibilità di dibattito realmente scientifico, disconfermando la razionalità stessa dell’interlocutore è stata degradante per chi l’ha applicata. Ritengo che l’istrionico Recalcati, anche lui laureato in filosofia, comunque iscritto a norma di legge al nostro Ordine, non ci abbia fatto un buon servizio.
Ma la cosa che trovo eticamente più grave è l’acquiescenza verso gli interventi sui bambini e adolescenti. E non mi riferisco tanto alla pur grave devastazione psicologica, ma proprio a quella sul piano biologico. Come possiamo avvallare la falsificazione scientifica del fatto che non ci saranno conseguenze? Un approccio scientifico necessita dei tempi lunghi per valutare applicazioni ed esiti in contesti controllati. Sono l’unica così vecchia da aver lavorato con bambini vittime della talidomide? Che solo dopo quarant’anni hanno ricevuto riconoscimento, ma non risarcimento e men che meno la loro vita di ritorno!
La miopia con tutta la faccenda è stata e continua ad essere gestita mi evoca l’immagine di una carovana che deve attraversare il deserto: ad alcuni è messa a disposizione l’acqua per farsi anche la doccia e ai più è negata anche l’acqua per bere. Già, non abbiamo ancora capito che l’Europa è un piccolo pezzo di quell’economia occidentalizzata che prosciuga il pianeta. A dirlo sono cattedratici della Global Health, non ragazzini che ci piace sfottere.
Pare che i nostri “rappresentanti”, altrettanto miopi, si accontentino di brillare di quel po' di luce riflessa, di quella “posizione ancillare” che la scienza psicologica elemosina per essere considerata professione simil-medica. Ricordo ancora il trionfalismo della notizia data: anche noi come i medici! Ed ora si continua a persistere ottusamente nella scia dell’Ordine di quei Colleghi, scienziati della salute esattamente come noi, che pure è scosso da profonde proteste di colleghi medici che osano, certamente più di noi, venire allo scoperto.
Allora la domanda diventa: cosa farcene di un Ordine che ha rinunciato al suo mandato di tutelare prima di tutto coloro che si rivolgono ai Professionisti che rappresenta?
Chiudo con le parole di un grande della medicina, Sergio Nordio, che si è speso proprio per quello che è il più prezioso patrimonio dell’umanità: i bambini. “Slow medicine è fermarsi e pensare, e fare della riflessione clinica il valore della professione e la garanzia per risultati onesti e possibili” (in G. Bert, Slow Medicine. Perché una medicina sobria, rispettosa e giusta è possibile, Sperling & Kupfer, 2013).
Miriam Gandolfi, laureata in psicologia, psicoterapeuta ad orientamento sistemico-connessionista
Iscr. Albo n. 04BZ01