Enrico Iavarone e Luca Panseri sono due medici impegnati da tempo in una riflessione critica rispetto alla gestione pandemica.
Enrico, prendendo spunto dal recente scritto di Luca su OraX – ‘Petali di resa’ https://www.orax.me/blog/forum_art_det.asp?id=85&estrai=tutto - ha rilanciato con ulteriori riflessioni. Ne è nato un dialogo che cerca di approfondire la difficile linea di demarcazione tra resistenza e resa. L’idea è di dare testimonianza della possibilità di un scambio dialogico tra chi non accetta di piegarsi supinamente alle ormai sempre più evidenti contraddizioni e menzogne della propaganda politico-sanitaria.
Enrico: Luca, leggendo il tuo scritto su OraX ho trovato stimolante la riflessione, a partire dalle parole di Bonhoeffer, sulla dialettica resistenza-resa. Il tema della resa di fronte alle difficoltà connesse al non essere riconosciuti e compresi è per me assai importante. Ritengo infatti che anche il nostro ‘dialogo interiore’ entri in crisi quando il mondo esterno sembra alieno, indifferente se non ostile rispetto a ciò che ci interroga e preoccupa. Ho la sensazione che quanto accaduto negli ultimi due anni e mezzo sia una sorta di ‘induzione alla rinuncia’. Nelle dinamiche sorde che si sono delineate, gettando molte persone nello sconforto della solitudine emotiva e in balia dei propri dubbi, si nascondono aspetti fortemente disumanizzanti. Sembra quasi che si voglia minare proprio la nostra volontà di sentirci riconosciuti.
Luca: Enrico, nell’affrontare il delicato confine tra resistenza e resa è necessario prendere in considerazione gli aspetti che hai evidenziato. Quando tu parli di “induzione alla rinuncia” ti riferisci, a mio parere, a un meccanismo pervasivo che mira a fiaccare gli spiriti. Alcuni antropologi, riferendosi a quanto successo e sta succedendo parlano di “una forma di tortura ad ampio spettro e bassa intensità”. Non siamo infatti in presenza di una chiara forma totalitaria come quelle dei totalitarismi novecenteschi. No, qui abbiamo una forma differente nella sua pervasività ammantata di buone intenzioni. E’ forse questo l’aspetto davvero maligno. Come se il resistente si trovasse continuamente a doversi difendere da un doppio trauma: quello dell’imposizione e quello della costante riprovazione.
Enrico: Sì, Luca, per “induzione alla rinuncia” intendevo esattamente questo. Un’imposizione subdola e generalizzata che insinua il senso di riprovazione in quanto la nuova realtà rappresentata altera il dialogo interiore, in una sorta di gioco truccato, lasciando emergere il senso di colpa nel momento in cui si attivano meccanismi di resistenza. Assistere alla continua negazione di evidenze e delle loro logiche conseguenze crea uno sconforto pericoloso per il nostro equilibrio, soprattutto in chi non ha rinunciato ad opporsi e ad esercitare una resistenza. Quanto accaduto riguardo a come è stato proposto il tema dei vaccini covid 19 è infatti esemplare di quanto appena detto. Tutti avrebbero potuto verificare, ad esempio, l’inconsistenza delle affermazioni riguardo la capacità dei vaccini di impedire il contagio e quindi di contagiare, eppure sono state accettate misure sproporzionate riguardo la possibilità di svolgere il proprio lavoro o di portare conforto a un familiare presso una RSA. A maggior ragione lo sconforto riguarda chi, per competenze professionali, coglie le macroscopiche contraddizioni in termini di epidemiologia, immunologia e clinica medica come, ad esempio, l’estrema sottovalutazione e sottostima degli eventi avversi. L’informazione precostituita a senso unico ha indotto molti a non aprire riflessioni che inevitabilmente avrebbero portato a conflitti con la realtà esterna. Rappresentare la realtà senza dubbi, con argomentazioni racchiuse in schemi rigidi precostituiti, scardina la nostra umanità più profonda inducendo alla rassegnazione così che i moti interiori verso ciò che riteniamo inaccettabile devono essere superati perché non hanno diritto di essere.
Luca: Credo Enrico che la dinamica in gioco sia proprio questa. Creare nelle coscienze critiche uno stato di rassegnazione, di sfinimento che porti a desistere. Il muro anti-dialogico ha proprio questa funzione. Frustrare costantemente e metodicamente il fondamentale bisogno umano di dialogo e riconoscimento (vedi anche il mio “Custodire il fuoco” https://pillolarossa.org/blog/forum_art_det.asp?id=79&estrai=tutto&28/09/2022%2018:06:02
Enrico: si sta quasi proponendo un “destino” preconfezionato attraverso verità somministrate dall’alto che mirano ad annichilire il dubbio e la domanda e pretendono di programmare l’agire umano sottraendolo all’imponderabilità dell’esistenza.
Luca: qual è il confine tra resistenza e resa a un “destino preconfezionato”? Prima eravamo portati a pensare che il destino fosse quell’imponderabile che si presentava nelle nostre vite e le condizionava, certo, ma all’interno di una costante dialettica tra volontà e destino. Ora sembra invece che l’obiettivo sia quello di portarci a uno sfinimento per cui non rimane altro che la RESA a un destino che appare segnato e totalizzante. In questo caso è ovvio che la resa non sarebbe quella che io ho cercato di raffigurare attraverso il mio sogno e il mio breve articolo. Quel tipo di resa infatti non è un cedere le armi per rassegnazione ma è comprendere che è necessario, dopo aver a lungo lottato, entrare in una fase di accettazione e raccoglimento per ricaricare l’energia e comprendere cosa la vita ci sta chiedendo. L’altro tipo di resa potrebbe essere invece definita resa depressiva, quella in cui non c’è raccoglimento ma disperazione e sensazione d’impotenza.
Enrico: il martellamento comunicativo uniformante, semplificante e banalizzante crea polarizzazioni divisive (No Vax, Guerra, Crisi Energetica, ecc.) e paralizza la dialettica necessaria e feconda per l’introspezione e la crescita attraverso il confronto. La nuova modalità di comunicazione totalizzante si inserisce in questo dualismo resa-resistenza, favorendo l’affermazione della sola resa in alternativa ad una pesante scelta di resistenza. Rischiare di assumere le vesti di terrapiattisti resistenti o abdicare, arrendendosi alla versione imposta dall’alto. Il modo attraverso il quale ci stanno imponendo racconti con destini prefabbricati, tenderà ad annullare quei meccanismi intimamente umani di dialogo tra resa e resistenza, indebolendo il nostro necessario desiderio di modulare il destino.
In entrambi i casi non si mantiene l’indispensabile tensione critica ma ci si sbilancia in posizioni totalizzanti. Non credo che l’uomo possa vivere in schemi chiusi pena andare incontro a disagi crescenti. Forse il disagio psicologico crescente tra i giovani, e non solo, è un segnale?
La personale ricerca interiore dell’equilibrio tra resa e resistenza fa parte del tentativo di noi umani di non farsi sopraffare dalle “ perdite” materiali e immateriali che caratterizzano le nostre vite. Se la pressione esterna spezza questa ricerca interiore, la invalida imponendo un messaggio univoco e autoritario, ci troviamo a fronteggiare un’onda disumanizzante che renderà ancora più difficile e, a tratti intollerabile, il cammino della nostra esistenza.
Luca: E’, per questo, Enrico, che diventa allora decisivo mantenere in vita il “dialogo tra esseri umani che s’interrogano su resistenza e resa”. Quando e quanto devo oppormi in ogni determinata situazione? Quanto devo insistere e resistere e quando invece devo arrendermi? E la qualità di questa resa è una qualità simile al raccoglimento che ricarica e ricentra o è invece un abbandono depressivo in cui alzo bandiera bianca? Credo che le parole di James Baldwin tratte da ‘Notes of a Native Son’ ci aiutino a mantenere viva questa dialettica:
“Mi sembrò che si dovessero tenere per sempre nella mente due idee che sembravano essere in opposizione. La prima idea era l'accettazione, un’accettazione senza rancore, della vita così com'è, e degli uomini così come sono: alla luce di questa idea, va da sé che l'ingiustizia si presenterà sempre. Ma questo non significava che si potesse essere compiacenti, poiché la seconda idea era di uguale potere: che non si doveva mai, nella propria vita, accettare queste ingiustizie come inevitabili, ma combatterle con tutte le forze. Questa lotta, tuttavia, inizia nel cuore e ora mi era stato affidato il compito di mantenere il mio cuore libero dall'odio e dalla disperazione”.
Karl Jaspers parlava di una fede nel mistero abbracciante dell'esistenza, anche, o soprattutto, quando è oscura, quando ci porta ad incontrare quelle che lui definiva "situazioni limite".“Nella consapevolezza dell'inderogabilità di questi limiti, l'esistenza raggiunge la sua profondità” scriveva il grande psicopatologo e filosofo tedesco.Lui che era dovuto fuggire a Basilea dalla Germania, reo di aver sposato un'ebrea.
Noi siamo costantemente sottoposti a situazioni in cui ci sembra di essere arrivati al “nostro limite” di non aver altra possibilità che “arrenderci” (depressivamente). Ma il dialogo tra di noi, il condividere una visione e la diagnosi della disumanizzazione intorno a noi, può rendere, di volta in volta, questo limite un passaggio. Si lasciano altri attaccamenti, si fa un altro pezzo nel mare aperto dove ci si affida sempre più al processo della vita.
Mi piace quello che stiamo facendo: da una parte la lotta, dall'altra l'affidamento alla vita, qualunque cosa essa voglia portare. Ci sono sì degli obiettivi che ci prefiggiamo, ma sempre più mi è chiaro che in gioco, almeno per me, c'è qualcosa che va oltre. C'è il continuo tentativo di scoprire la ricchezza delle situazioni limite che stiamo vivendo, il riconoscere che in esse la sofferenza non è l'unico elemento che le accomuna. Ancora con le parole di Jaspers: "Un elemento comune è anche, per altro, che esse danno origine a un dispiegamento delle forze cui s'accompagna una gioia d'esistere, di avere senso, di crescere". Risuono con queste parole, pronunciate da un uomo che ha vissuto una vita in cui non c'era dissociazione tra filosofare ed esistere ma entrambi erano un modo di onorare lo stare al mondo.
Enrico: le parole di Jaspers sono un inno alla lotta e alla vita, indipendentemente che volga verso la resa o la resistenza, in quanto portatrice di senso e gioia di esistere. E’ l’intimo tentativo di opporsi al “nonsenso” che ammanta molto del percorso umano. La disumanizzazione in atto è proprio lo spegnimento della ricerca del “senso”. Thomas Mann parlava del “ Graal come mistero, ma tale è anche l’umanità: poiché l’uomo stesso è un mistero, e ogni umanità è fondata sul rispetto del mistero umano…”.
Luca: Enrico, il riferimento al mistero è decisivo e merita un approfondimento che potremo eventualmente elaborare per successivi articoli da postare su OraX.
Intanto ti ringrazio molto per questo prezioso dialogo.
Enrico Iavarone – cardiologo.
Luca Panseri – psichiatra e psicoterapeuta.